“Stress da Covid”

“Quando ci proteggiamo dalla sofferenza, pensiamo di fare un favore a noi stessi. In realtà non solo non ci tuteliamo, ma al contrario otterremo unicamente il risultato di divenire più spaventati, induriti, alienati. Ci sentiamo separati dall’interno. Questa separatezza diviene per noi una sorta di prigione, che ci confina nelle nostre speranze e paure  più intime, in una preoccupazione rivolta solo a chi ci è più vicino.

É piuttosto curioso: il nostro primo obiettivo è difenderci dal malessere e l’unico risultato che otteniamo è “Soffrire”. Viceversa, quando non ci isoliamo e lasciamo che i nostri cuori si spezzino, scopriamo di essere in armonia con tutte le cose viventi” ( cit. Pena Chodron).

Abbiamo sentito dire più volte che questo Virus è un “nemico invisibile”. Concordo con questa percezione: fuori sembra esserci una minaccia e il nostro corpo/mente è possibile ne risenta.

Tra le tante forme di difesa che la nostra mente può generare, come ogni trauma che si rispetti, c’è la “Negazione”, perché in generale vogliamo che le cose vadano come ce le aspettiamo.

Questo può significare anche che, nel fronteggiare una “minaccia”, ogni individuo avrà una reazione unica -distinta- sua propria.

Sono saltati gli schemi delle nostre aspettative nei confronti della quotidianità, o meglio, della vita in generale: pertanto possiamo ridenominare gli eventi ad alto livello di stress come “eventi potenzialmente traumatizzanti”: è assolutamente fisiologico e normale che tali eventi causino risposte psicofisiche piuttosto intense e particolari, che fisiologicamente richiedono un certo lasso di tempo per diminuire, calmarsi ed estinguersi.  La risposta acuta da stress non deve quindi essere in alcun modo considerata come un disturbo, rientrando in tutto e per tutto in una normale risposta fisiologica ad un evento abnorme.  Per convenzione una durata inferiore a 30 giorni di questi disturbi viene definita e diagnosticata come disturbo acuto da stress. É una condizione che richiede attenzione clinica, almeno sotto forma di una consulenza/ valutazione da parte di un professionista (psicologo psicoterapeuta o psichiatra) esperto.

Se intrusioni, evitamento, disregolazione dell’arousal (attività del sistema nervoso autonomo) e disregolazione emozionale (rabbia, paura, tristezza, vergogna, senso di colpa) persistono oltre i 30 giorni, va valutata la possibile presenza di un disturbo da stress post-traumatico.

Va subito sottolineato che risultare traumatizzati da un evento o da una serie prolungata di situazioni estreme non è un segno di debolezza psicologica: l’evento diventa traumatizzante quando il suo impatto sovrasta ed annienta la resilienza dell’individuo, che vive questo peculiare stato come annichilimento, impotenza; essere in totale balìa di quanto ci accade senza poterne avere alcun controllo; usurpazione della propria volontà da parte dell’evento.

Il livello di stress a cui siamo stati acutamente esposti non sta calando completamente, anche se lo desidereremmo: in parte rimane immutato, in parte si sta trasformando, in quanto iniziamo a dover affrontare scenari diversi, legati non solo a una protezione e cura dell’aspetto più acuto dell’infezione (fase 1), ma anche alla necessità di ripristinare un livello più usuale di vita socio-lavorativa, mentre in virus è ancora in circolo (fase 2).

Dobbiamo costruirci delle difese per sopravvivere nel costante pericolo del contagio e delle sue conseguenze. Ci troviamo quindi nella necessità di trovare un equilibrio fra i continui stimoli che tendono a soverchiare le nostre capacità di resilienza e la necessità di andare avanti nella quotidianità.

Ci si abitua a tutto. Molto spesso è vero (tranne per ciò che ci risulta traumatico), ma c’è sempre un costo a questo abituarsi, e a volte il costo risulta troppo alto e faticoso: in tal caso è utile poter dire che lo sforzo di abituarsi si trasforma in una situazione che richiede cura specifica, che convenzionalmente chiamiamo disturbo d’adattamento.

Il rischio, se non valutiamo la nostra fatica di adattamento, sarà, nella migliore delle ipotesi affrontare il lavoro tornato “abbastanza normale” senza l’energia sufficiente, quindi sentendoci costantemente “col fiato corto”. Nella peggiore delle ipotesi non daremo importanza a sensazioni, vissuti, comportamenti che sono già da considerarsi come sintomi di un vero e proprio disturbo dell’adattamento che porta danno a noi e all’ambiente intorno a noi (soprattutto: lavorativo, familiare e amicale).

Molti segni e sintomi di DdA coinvolgono infatti: 1) il funzionamento individuale soprattutto riguardo alla regolazione corporea (con insonnia, dolori migranti, somatizzazioni talora gravi, esordio di malattie o aggravamento di patologie pre-esistenti, ad es. ipertensione, diabete, nevralgie, problemi autoimmuni) e riguardo alla regolazione emozionale (con manifestazioni in particolare ansiose e depressive); 2) la vita relazionale e affettiva, con estensione a livello personale e familiare delle difficoltà nate sul lavoro (senso di estraneità e distanza con persone prima a noi care, atteggiamento cinico o polemico coi nostri familiari, aumento della litigiosità e irritabilità nei loro riguardi, fino alla violenza verbale o fisica, ecc.).

Molto frequente il ricorso a sostanze d’abuso (tranquillanti, alcool, cannabis, cocaina) e a dipendenze comportamentali (gioco d’azzardo, dipendenza da internet, ipersessualità, sensation seeking grave con comportamenti ad alto rischio).

E cosa succede dopo? si può recuperare il controllo del proprio stato mentale?

Il malessere psichico, procurato da un evento scuso da stress o da un evento potenzialmente traumatico, passato del tempo può sorgere il problema del “recupero del controllo”  che consiste nel trovare strategie di regolazione corporea ed emotiva che consentano all’individuo di rientrare in finestra di tolleranza.

Esistono tre modalità  di recupero del controllo o strategie di benessere:

  1. strategie che usano il corpo (per esempio lo sport, l’uso di sostanze, fumare, manipolare il corpo in vari modi per ristabilire un senso di controllo ed equilibrio)
  2. strategie che usano le relazioni con gli altri e il contatto interpersonale per es:  cercare un contatto oculare e fisico con altri, parlare con loro e cercare conforto da chi abbiamo intorno a noi
  3. strategie che possono avvenire per via interiore, attraverso forme di dialogo riflessivo funzionale, esercizi di meditazione, pratiche di consapevolezza
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Come si procede alla guarigione?

La trasformazione può avvenire solo in un contesto terapeutico di sicurezza che aiuti la persona traumatizzata a sbloccare le emozioni del passato e a sviluppare energia e risorse per il futuro. Uno degli strumenti e tecniche più efficaci per la cura del trauma può essere l’Emdr.

In questa epoca, siamo entrati a contatto con:

Perdita di prevedibilità del mondo conosciuto

Immobilità

Perdita di connessione

Ottundimento (Numbing out) e Distacco/Distanziamento (Spacing

Perdita del senso del tempo

Perdita del senso di sicurezza

Perdita di senso e scopo nella vita

come è possibile aiutarci?

  1. Ritorno alla prevedibilità: Creare delle routine, degli appuntamenti, delle attività che permettano di tenere uno sguardo proiettato in avanti e di collocarsi in una cornice temporale definita e organizzata -anche se siamo chiusi in casa. Scrivere e creare un calendario di attività ludiche, relazionali o lavorative e condividerlo con le persone care.
  2. La ricerca neuroscientifica suggerisce che lo Yoga, il Qi Gong, Tai Chi, la meditazione, gli esercizi di respirazione, la mindfulness, sono tutte attività di comprovata efficacia per questo scopo: calmare il corpo, restituire un senso di sé e offrire un’“àncora” forte per aiutare a contenere e orientare tutte le normali reazioni fisiologiche di questo periodo.
  1. Connessione visiva: sappiamo che vedere il volto, incontrare lo sguardo, ascoltare il tono di voce sono elementi fondamentali per il nostro cervello per tornare sintonizzati e connessi; in questa fase le videochiamate sono molto importanti per mantenere o ritrovare la sensazione di essere visti da qualcuno, per rientrare in quel ritmo e in quella sintonizzazione emotiva che ci permette di entrare meglio in connessione anche con noi stessi e di sostenerci. Nelle epidemie del passato non c’è sempre stata questa possibilità di essere così connessi a grandi distanze, ed è importante ricordarci oggi di questa risorsa fondamentale che può contribuire a mantenere nutrita la nostra “vitalità” come esseri umani, nel corpo e nella mente. Giochiamo, cuciniamo, cantiamo, suoniamo insieme.
  2. Numbing vs Mindfulness: una risposta emotiva naturale quando si attraversano eventi di vita drammatici è l’ottundimento emotivo (numbing), sentirsi cioè in uno stato di nebbia e confusione che ci consente di non sentire le emozioni negative, conducendoci a un distacco più duraturo dalla realtà e dalle relazioni, con un senso di passività e impotenza pericolose sul lungo periodo.
  • “Riconoscere se stessi”: imparare a osservare e notare cosa succede all’interno, che emozioni ci guidano, che reazioni ci abitano, che pensieri ricorrono. Senza questo livello di osservazione della nostra mente, potremmo agire come un “pollo con la testa tagliata”, vivendo cioè in uno stato reattivo e automatico di paura, rabbia, irritazione verso gli stimoli esterni, senza consapevolezza di quello che ci accade davvero.
  • “Fare scelte”: una volta acquisito maggior contatto con se stessi e con la nostra esperienza emotiva, diventa più facile scegliere cosa fare o almeno avere una idea più chiara di quale strada sia possibile per noi.
  • “Sguardo esterno”: avere qualcuno che ci parli, che ci aiuti ad osservare quello che ci succede, ad identificare cosa succede
  • “Meditare”: è molto utile ed importante trovare un modo per esercitare uno stato di mindfulness attraverso la meditazione, meglio se condivisa con classi online, poiché la capacità di osservare quello che succede all’interno può essere a volte difficile o spaventosa. É importante attivare insieme alla Mindfulness una attitudine compassionevole verso se stessi (Self-Compassion), una accettazione incondizionata di tutto quello che emerge, e questo è più facile, probabilmente, se non siamo soli e qualcuno osserva insieme a noi quello che stiamo sperimentando dall’interno del nostro corpo o della nostra mente. Nell’esplorare l’esperienza emotiva interna potranno affiorare infatti parti arrabbiate o parti ostili alla ricerca di uno stato di calma. Sarà importante ricordarci che è normale avere diverse parti o aspetti dentro di noi e che anche la rabbia è un’emozione che merita rispetto e accoglienza: potrebbe averci aiutato a sopravvivere nel passato e a tollerare emozioni insostenibili. É importante dunque provare ad includere le parti ostili nella meditazione, osservarle e accettarle per il ruolo che hanno avuto nella nostra vita, sentendole “alleate” dentro di noi e non vivendole come una minaccia.
  1. Perdita del senso del tempo vs Guardare al futuro: una delle caratteristiche principali nei processi di traumatizzazione è la perdita del senso del tempo, di non riuscire più a vedersi nel futuro, di sentire che la condizione traumatica e il dolore dureranno per sempre. Per tornare a guardare al futuro, è necessario recuperare intanto un senso del tempo più ancorato al presente, e di nuovo la meditazione ci tornerà utile a questo scopo: nell’osservazione non giudicante della nostra esperienza interna, potrebbero affiorare emozioni o sensazioni corporee molto disturbanti (ansia, rigidità o dolore), ma se riusciremo a stare nelle sensazioni e a notarle mentre respiriamo, potremo osservare che i pensieri inizieranno a spostarsi lentamente. Respiro dopo respiro potremo percepire che il nostro corpo cambia, momento per momento, e possiamo vivere la sensazione interna che ogni momento è diverso dal precedente, e che passerà.
  2. Senso di sicurezza interno: acquisire un senso di sicurezza interno è centrale per chi ha vissuto situazioni traumatiche e per tutti è una condizione necessaria da preservare, sia quando viviamo con altre persone, sia quando viviamo da soli. Per ognuno di noi è importantissimo dunque identificare: cosa ci fa sentire al sicuro? Magari è un certo tipo di musica, magari un certo tipo di lettura: cosa ci aiuta a sentire uno stato di calma interiore? Alcuni aspetti andrebbero focalizzati:
  • Il contatto fisico è l’elemento che più di ogni altro ci garantisce come esseri umani di sentire un senso profondo di sicurezza e conforto. Per chi vive in famiglia è il momento delle coccole, degli abbracci, del far sentire agli altri la vicinanza e l’importanza del contatto umano nella nostra percezione di sicurezza; per chi vive da solo in questa fase critica è molto più difficile, ma potrebbe essere altrettanto importante trovare una strada per offrire a se stessi un senso di maggior contatto e calore con alcuni esercizi corporei, per sviluppare un senso più profondo di sicurezza interno al corpo e di contatto con sé.
  • Privacy/confini: il nostro senso di sicurezza tuttavia può passare anche dall’avere necessità di uno spazio di privacy e solitudine, di uno spazio in cui possiamo non essere raggiunti, quando abbiamo bisogno di questo per avere un maggior contatto con noi stessi. Cosa possiamo fare se condividiamo spazi limitati? Identificare un angolo o un luogo della casa in cui gli altri sappiano che in quel momento abbiamo bisogno di non ricevere richieste, compiti, domande ed è nostro diritto chiederlo e trovarlo. Ecco il nostro “luogo al sicuro”.
  • Le persone traumatizzate sentono un costante senso di minaccia all’interno del loro corpo, poiché sono continuamente bombardate da segnali viscerali di allerta e pericolo e nel tentativo di controllare questo processo, spesso diventano molto bravi nell’ignorare i loro segnali viscerali e nell’annebbiare la consapevolezza: imparano cioè a nascondersi da loro stessi. Di nuovo lo Yoga, il Tai Chi e il Qi Gong sono pratiche valide e scientificamente provate per aiutare a creare un senso di sicurezza interno, per imparare ad abitare il proprio corpo in un modo sicuro.

Infine, non dimentichiamo che in questo momento chi vive una condizione di traumatizzazione, maltrattamento o violenza in famiglia potrebbe essere in pericolo nella condizione di quarantena forzata e potrebbe aver bisogno di chiedere aiuto.

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